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L’evoluzione della s...erie

Writer: RollystonesRollystones
 


Per deformazione caratteriale, ogni qual volta mi butto sul divano a guardare un film, un cartone o una serie tv, a ogni singola battuta interessante la seccante vocina nel mio cervello si domanda: “l’ho già sentita o è nuova?” Questo avviene in ogni contesto, ma quando parliamo di sit-com, anzi, di un certo genere di sit-com, esiste addirittura una risposta universale alla domanda... e non è 42*! Ci arriveremo presto.

Occorre partire dalla fine: The Big Bang Theory (2007-2019). Vado a gusto personale nel dirvi che reputo sia la più intelligente serie mai scritta di genere sit-com, il che non vuol dire che sia la migliore (anche i Griffin mi fanno ridere più dei Simpson, ma questo non significa che io li preferisca…). Sheldon, Leonard, Penny & Co. mi fanno ridere più di chiunque altro su un piccolo schermo, e i due autori, Chuck Lorre e Bill Prady (noti in passato anche per Dharma & Greg) sono arrivati a produrre ben dodici stagioni in cui il livello qualitativo non è mai calato.

Cosa non da poco, avvenuta peraltro anche per un’altra serie di poco precedente, anzi, perlopiù contemporanea: How I Met Your Mother (2005-2014). Stessa tipologia di umorismo tagliente e non scontato, con in più l’aggiunta di un intreccio di livello finissimo, con alcune battute che possono essere colte appieno soltanto da chi la serie l’ha vista in ordine, dalla prima all’ultima puntata, senza pescare un episodio qua e uno là. Anche qui Carter Bays e Craig Thomas, per cui HIMYM rappresenta anche il primo lavoro di una certa importanza in carriera, sono riusciti a plasmare una serie godibile e geniale, sugli stessi livelli di BBT ma con quel quid in più dettato dalla complessità dell’intreccio.

Entrambe queste due serie “cult” hanno una valutazione media più alta di 8 espressa dalle centinaia di migliaia di persone che hanno votato su IMDb, il portale di riferimento delle produzioni cinematografiche e televisive. Ma entrambe sono figlie di una serie precedente, che usava lo stesso tipo di ambientazioni (prevalentemente due appartamenti sullo stesso pianerottolo), personaggi (un gruppo di amici) e meccanismi per far ridere la gente: Friends (1994-2004). How I Met Your Mother ne è l’ideale seguito anche per le tematiche trattate, The Big Bang Theory ne segue invece solo il filone generale ma in un contesto differente (Los Angeles anziché New York), deviando leggermente il target di pubblico ed esplorando un umorismo più ricercato, ma allo stesso tempo immediato, che sorprendentemente riesce a far breccia anche nei meno “secchioni” tra i telespettatori.

Friends in America è stato un vero e proprio fenomeno di costume, ma anche in Italia le avventure di Ross & Rachel, Chandler & Monica, Joey & Phoebe, sono state seguite febbrilmente da una schiera di appassionati/innamorati fan (Alzi la mano chi non si è lasciato sfuggire una lacrimuccia nel vedere il finale dell’ultima puntata della serie). Ma c’è una differenza tra gli “amici” italiani e quelli statunitensi: loro sanno, noi no. Sanno cosa? Semplicemente cosa c’è alle spalle; meglio, cosa c’era prima, ovvero qual è stato il telefilm senza il quale Friends non sarebbe potuto esistere. Il “nonno”, chiamiamolo così, di HIMYM e BBT , e papà di Friends: parliamo di Seinfeld (1989-1998).

Gli sceneggiatori che lavoravano per Marta Kauffman e David Crane, i due autori di Friends (e prima ancora della sit-com Dream On) hanno pescato a piene mani in quella che è stata una delle più geniali e amate serie televisive d’America. Jerry Seinfeld, noto comico e autore di questa sit-com autobiografica che per nove stagioni ha sbaragliato gli ascolti della NBC, è stato lui stesso in prima persona il precursore del genere che oggi tiene incollati ai televisori milioni di spettatori.

Per rivedere tutti gli episodi di questa ancestrale serie TV bisogna fare un piccolo sforzo mentale (Anche perché se le battute di alcuni episodi vi sembreranno un déjà vù, o le trame di altri vi sembreranno già note, è semplicemente perché è proprio lì che sono nate) e ricalarsi nelle atmosfere della New York di fine anni Ottanta/inizio Novanta nelle quali sono ambientate le vicende del comico Jerry Seinfeld (che interpreta sé stesso anche nella sit-com, e che tenta all’interno della stessa di realizzare uno show sulla sua vita: in pratica la storia di come nasce Seinfeld, all’interno di Seinfeld... geniale!) e dei suoi tre più cari amici: l’ordinario George Costanza (Jason Alexander, presente peraltro in un cameo in Friends nell’episodio 7x13), lo stravagante Kramer (Michael Richards, doppiato da un giovanissimo Francesco Pannofino, il René Ferretti di Boris) e la superficiale Elaine Benes (Julia Louis-Dreyfus, protagonista anche di Veep – Vicepresidente incompetente).

Ma al di là della tipologia umoristica, ciò che caratterizza ogni singolo episodio di Seinfeld è il nulla. Ogni episodio della serie ha per tema un dettaglio irrilevante, una situazione kafkiana, un aspetto insignificante della vita di tutti i giorni, come può essere cercare il posto dove si è parcheggiata la macchina nell’immenso parcheggio multipiano di un supermercato o l’attendere che si liberi un posto al ristorante cinese. La vera e propria rivoluzione di questa sit-com è stata questa, ovvero costruire uno show senza trama e senza temi impegnati, senza effetti speciali o storie d’amore strappalacrime. A questo ci hanno pensato successivamente figli e nipoti per diversificarsi ed evolversi, ma in Seinfeld resta tutto così tremendamente semplice, cinico, surreale, divertente.

Addirittura i personaggi della serie non subiscono alcuna evoluzione o crescita, si comportano nello stesso identico modo, conservando i loro difetti (tanti) e i loro pregi (pochi) dal primo all’ultimo episodio, dimostrando di non essere in grado di imparare dagli (innumerevoli) sbagli commessi. A suggellare questa scelta degli sceneggiatori c’è anche il simbolico finale, durante il quale (mini-spoiler, ma non è grave, trattandosi di una serie sul “nulla”) Jerry e George riprendono la stessa, medesima, futile, conversazione sul bottone di una camicia, che avevano intrapreso nella primissima scena del primo episodio.

Il risultato di questo nulla cosmico? 76,3 milioni di americani hanno assistito all’ultima leggendaria puntata dello show (contro i 52,5 milioni di Friends, per intenderci, entrambi valutati con valutazioni vicinissime al 9 dagli utenti di IMDb) e TV Guide definisce Seinfeld il miglior show americano di tutti i tempi. Aggiungiamoci che all’indomani della messa in onda dell’ultimo episodio della serie, il New York Times ha titolato a nove colonne: “E ora come farà l’America senza Seinfeld?” e il quadro sarà completa. Che dite? Vi ho convinto a intraprenderne la visione?


Simone Valtieri


*Da “Guida Galattica per Autostoppisti”

 
 
 

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